DONIZETE GALVÃO


LA POESIA DI DONIZETE GALVÃO

VERA LÚCIA DE OLIVEIRA

Donizete Galvão, nato a Borda da Mata, cittadina dello stato di Minas Gerais, nel 1955, è considerato uno dei più originali poeti brasiliani della generazione che ha esordito negli anni ’80. Laureato in giornalismo, vive e lavora da molti anni a San Paolo. C’è nella sua opera, nonostante egli si sia pienamente integrato nella capitale, accanto al paesaggio e agli elementi caratteristici della grande città, la compresenza di immagini e ambienti del mondo rurale contadino che ha conosciuto nella sua infanzia e adolescenza, dove alcune figure paradigmatiche, come quelle dei nonni (veri numi tutelari), paiono proteggerlo dalla dispersione, dall’indifferenza e dall’anonimato della megalopoli che “ingoia”, nel suo moto continuo, i lavoratori arrivati da ogni parte del Brasile, attratti dal sogno di una vita migliore.
Nella sua poesia la memoria dell’infanzia recuperata è serbatoio di immagini fresche e nitide, ma il passato non è mitizzato come un tempo unico e irrepetibile di armonia né il presente può essere solo il momento della nostalgia delle origini: la sua parola è frutto di un lavorio continuo di materiali eterogenei e concentrati e lo sguardo del poeta è sempre problematico, alla ricerca delle contraddizioni e delle stonature dei tempi e delle realtà che, in essa, si intersecano.
Circondato da un nutrito gruppo di amici, mantiene una folta corrispondenza con poeti di tutto il Brasile, giovani e meno giovani, che trovano in lui (come succedeva, ad esempio, con Mário de Andrade, ma come si vede sempre più raramente in questi tempi di esasperato individualismo) una rara disponibilità, un’attenzione e un interesse sinceri. La sua ironia, mai ferina, espone e rovescia la pseudo aura del poeta, da molto tempo perduta, da quando i poeti si sono dovuti confrontare, in questa economia di mercato, con una “merce” invendibile come la poesia.
I suoi maestri sono i modernisti Manuel Bandeira, Mário de Andrade e Carlos Drummond de Andrade, ma anche il secco ingegnere del verso João Cabral de Melo Neto, con i quali dialoga, da sempre in equilibrio instabile fra la tendenza all’effusione lirica e un movimento fortissimo di contenzione di ogni sentimentalismo che governa la costruzione dei testi. E qui occorre sottolineare il legame dell’autore con artisti plastici contemporanei, come Jackson Pollok e Yves Klein, e musicisti, come Villa-Lobos e Nina Simone, che hanno segnato e ispirato molte sue poesie.
Il senso del fluire del tempo è vissuto sulla carne, nel corpo delle cose e degli uomini: non il tempo circolare e ciclico del mito, che si affida alla possibilità di un ritorno rigenerante alla genesi intatta delle cose e del mondo, ma il cronos storico, prosaico e lineare, crudele nella lenta e certosina corrosione che accomuna ogni cosa e ogni essere. In Donizete Galvão esso segna ed esacerba la ribellione dell’uomo e del poeta che utilizza la poesia per salvare gli elementi che gli sono più cari, come “il riso, l’humour, la memoria”[1], senza i quali non possiamo più parlare dell’umano.
Poiché non ci è permesso di ritornare nel grembo delle cose sgorgate alla vita, non è della genesi che il poeta serba memoria, ma proprio della cacciata dal paradiso, del dolore di esseri diventati mortali, dell’angoscia della nostra storia.
La poesia di Donizete Galvão non è sicuramente consolatoria né accomodante, non ammicca alle estetiche di moda, non cattura il lettore con ardite sperimentazioni né geometriche strutture retoriche. Donizete Galvão è poeta di un altro tempo, una Cassandra scomoda che non può tacere e che, per quanto sia arduo e doloroso, ci invita in ogni libro ad effettuare, insieme a lui, il viaggio nella nostra fragilità, nella carne e nel tempo delle cose (come è il titolo di una delle sue raccolte), nel “mondo muto” che abbiamo dentro di noi, con il disperato bisogno di reinaugurare ogni momento e ogni gesto, poiché de tanto ser vista, / gasta-se a beleza / das coisas que em si / guardam a perfeição[2] (da tanto esser vista / si perde la bellezza / delle cose che in sé / hanno la perfezione): e si perde non solo nelle cose, ma nella memoria e nei sogni, nei gesti e parole. Questa è l’essenza della sua poesia che ci porta a guardare l’anima del mondo in ciò che ha di più fragile e prezioso. Egli non è, in alcun modo, poeta disperato e nichilista, ma utopico: proprio per questo risulta ancora più pregante  il suo appello per una parola che sia ancora capace di incrinare il muro del “mondo muto” che ci avvolge.

POESIE DI DONIZETE GALVÃO
Traduzione di Vera Lúcia de Oliveira



Itatiaia


Pedras de sombra
                            caídas do céu.
Rebanho em negro
                            montanha abaixo.
Notas tocadas
                            por um fio de água.
Silêncio dos deuses
                            que no miolo da pedra
fizeram sua morada.


Itatiaia[3]


Pietre d’ombra
    dal cielo cadute.
Nero armento
                            al suolo diffuso.
Note sfiorate
                            da un filo d’acqua.
Silenzio degli dei
                            che trovano dimora
nell’essenza della pietra.


Brecha


na greta
no risco milimétrico do vinil
no interstício
entre os cílios
na ranhura do segundo
no fio estreito
entre
o desisto                                        o resisto
existo

Breccia


        nella crepa
nel millimetrico rigo del vinile
        nell’interstizio
tra due ciglia
            nelle venature dell’istante
nel filo sottile
                 tra
desisto                                      resisto
                 esisto



Rumor


os objetos
iscas
         visgos
pretextos
     anteparos
alvéolos
     poros
que reverberam
     suas auras
captam o murmúrio
     os véus
do invisível
      em seu vôo breve


Rumore


gli oggetti
esche
vischi
pretesti
paraventi
alveoli
pori
che riverberano
le proprie aure
captano il sussurro
i veli
dell’invisibile
    nel suo volo breve


Depois da queda


Memória do paraíso
não tenho não.
Lembro-me da dor.
Da vergonha.
Do desgosto.
Da gota de suor
pingando do rosto.

Dopo la caduta


Del paradiso
non ho memoria.
Ricordo il dolore.
La vergogna.
Il disgusto.
La goccia di sudore
che trasudava dal viso.


Tapera


Deixe que os morcegos
ocupem o forro
e as caixas de marimbondo
tomem conta dos seus cantos.
Deixe que a macega
suba pela escada até o alpendre
e prolifere nas rachaduras do reboco.
Deixe que o musgo
cubra o tampo da cisterna
e que os escorpiões
armazenem veneno sob os tijolos.
Nada dói mais do que a lembrança da casa,
encravada como um prego
que lateja na memória.

Casupola


Lascia che i pipistrelli
occupino il solaio
e i nidi di vespe
prendano possesso dei loro angoli.
Lascia che la zizzania
salga per le scale fino al portico
e proliferi nelle crepe dell’intonaco.
Lascia che il muschio
copra il coperchio della cisterna
e che gli scorpioni
immagazzinino veleno sotto i mattoni.
Nulla duole di più che i ricordi della casa,
conficcata come un chiodo
che pulsa nella memoria.

Objetos


Agora,
homens são coisas,
badulaques pendurados
como galinhas na peia,
pelas feiras,
de cabeça para baixo
à espera de compradores.

Agora,
mercadorias têm vida própria.
Saracoteiam quinquilharias
diante dos homens-coisas
que continuam
com pés atados
e bicos ávidos.

Oggetti


Ora,
gli uomini sono cose,
bagattelle appese
come galline impastoiate,
per i mercati,
con la testa all’ingiù
in attesa degli acquirenti

Ora
le mercanzie hanno vita propria.
Dondolano chincaglierie
dinnanzi agli uomini-cose
che rimangono
con piedi legati
e becchi avidi.


Exílio


Na beira da porta de aço,
ela tricota: faz bicos vermelhos
em alvos panos de algodão.
Não sou daqui, não.
Sou de Aracaju, Sergipe.
Vim em busca da minha irmã.
Mudou para o Mato Grosso.
Meu cunhado mora em Marília.
Não sou daqui, não.
Sou de Aracaju, Sergipe.
Tenho dinheiro pra passagem não.
Não sou daqui, não.
Sou de Aracaju, Sergipe.

 A vida real


Cidade sem aura. Sem sombras.
Dizem que um padre rogou-lhe uma praga.
Árvores de altas copas foram arrancadas
e, do cimento, brotou uma fonte luminosa.
As árvores não prosperam,
mutiladas por podas até o toco.
Folhas e flores enervam donas-de-casa
maníacas por calçadas limpas.
Chique é ter o quintal cimentado
e os cômodos revestidos de carpete.
O padre conta suas reses.
O prefeito conta sua reses.
Pardais cagam nos bancos da praça.
Reconhecem aqui o reino da politicagem.
No Carnaval, pretos, bichas e pobres
descem do Buracão ou sobem da Santa Cruz
e podem dançar nas ruas,
acompanhando os filhos de boas famílias.
Mas não passam da porta do clube.

La vita reale


Città senza aura. Senza ombre.
Dicono che un prete le lanciò una maledizione.
Alberi con alte chiome furono sradicati
E, dal cemento, sbocciò una fontana luminosa.
Gli alberi non prosperano,
mutilati da potature fino al ceppo.
Foglie e fiori snervano le massaie
maniache dei marciapiedi puliti.
Chic è avere un cortile cementato
e le stanze rivestite da moquette.
Il prete conta le sue pecore.
Il prefetto conta le sue pecore.
Passeri cacano sulle panchine della piazza.
Riconoscono qui il regno dei politicanti.
A Carnevale, neri, finocchi e poveri
scendono dal Buracão o salgono da Santa Cruz[4]
e possono ballare per le strade,
accompagnando i figli di buona famiglia.
Ma non oltrepassano la porta del Club.




[1] Donizete Galvão, “O hóspede”, in Mundo mudo, São Paulo, Nankin Editorial, 1997, p. 27.
[2] Donizete Galvão, “Lâmpadas”, in Mundo mudo, op. cit., p. 48.
[3] Riserva naturale del Parco di Itatiaia, nella città omonima, all’interno dello Stato di Rio de Janeiro.
[4] Buracão e Santa Cruz sono quartieri periferici e molto poveri di Borda da Mata, la città nella quale il poeta è nato e cresciuto.

4 commenti:

  1. Persone,cose,animali,si propongono in un'unica soluzione a definire l'esistenza.Tutto sembra riflettere l'essenza di un dato oggettivo imprescindibile di consistenza e comunicabilità,
    compatibile con l'anima,come con le sue ombre ed i suoi strappi.E' una poesia forte e vibrante.Vissuta,mescolata con tutto,come fosse inevitabile o inutile scindere e dare voci diverse

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  2. mi colpisce la qualità della lingua, incisiva, tagliente, appuntita dalla sofferenza di uno scavo, mi piace per esempio il nero armento disseminato al suolo, come fosse un'immagine vista dall'alto, da un aereo, mi piace anche molto:

    Nulla duole di più che i ricordi della casa,
    conficcata come un chiodo
    che pulsa nella memoria.

    mi sembra una scrittura di livello molto buono.

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  3. manca la traduzione della poesia exilio, potremmo provarci noi

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  4. Per la poesia "Exilio", qualcuno conosce il portoghese e si cimenterebbe nella traduzione?
    Per quanto riguarda le altre liriche qui pubblicate, mi colpiscono la durezza dei versi e le parole aspre. Quelle che preferisco sono "Breccia" e "Casupola".
    Si coglie il senso di precarietà, la durezza del vivere. Confesso di uscirne un po' tramortito. Da approfondire. Poesia di ottimo livello, in ogni caso.

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