Voci della poesia romena contemporanea
George Popescu: «A tavola con Dio»

a cura e traduzione di Afrodita Carmen Cionchin

Proponiamo ai lettori un primo incontro con la poesia romena contemporanea, quello con George Popescu, nato il 20 febbraio 1948 a Bratovoieşti, italianista, poeta, traduttore e critico letterario, membro dell’Unione degli Scrittori di Romania, caporedattore della rivista multilingue “Paradigma” e della rivista “Autograf”. Ha pubblicato i volumi di poesia: Desprinderea de brumă (Distacco dalla brina - Ed. Scrisul Românesc, Craiova, 1984); Ştiinţa veselă (Scienza allegra - Ed. Pontica, Constanţa, 1993); Magna Impuritas (Ed. Pontica, Constanţa, 1997); Scrisori către lady Di (Lettere a lady Di - Ed. Aius, Craiova, 2003). È presente, tra l’altro, nell’antologia curata da Marin Mincu, O panoramă critică a poeziei româneşti din secolul al XX-lea (Un panorama critico della poesia romena del Novecento - Ed. Pontica, Constanţa, 2007).
«Poeta post-testualista, egli insegue i residui del testo in un mondo sfigurato dai segni dell’apocalisse» (Marin Mincu).
Presentiamo una selezione di poesie in versione bilingue, romena e italiana.





***


A tavola con Dio
questo volto non ha più una finestra
la formica portò nella polvere estiva
i granelli vermigli della disperazione
della paura dell’amore della morte.
ma sul margine della carta fotografica
salta ancora una goccia della gioia
che stette un tempo a tavola con Dio.           
come un alone con cui il mare
non vuole più negoziare.


La masă cu Dumnezeu
chipul acesta nu mai are nici o fereastră
furnica a cărat prin pulberea verii
grăunţii rumeni ai deznădejdii
ai spaimei ai iubirii ai morţii.
însă în marginea hârtiei fotografice
încă tresare un picur din bucuria
ce-a stat cândva la masă cu Dumnezeu.
ca un halou cu care marea nu vrea
să se mai târguie.



L´espace du Dedans

è la via che non ho preso
benché fossi lì:
con mio padre dal dubbio portato 
nel campo in sere anonime
e solo ora che
mano nella mano con il mattino
mi sto cercando tra ulivi affamati
Peintre pour me parcourir
con Henri Michaux fuso nel volto
che il mio ricordo non riconosce
solo ora accanto al cespuglio chiazzato di rose
precipitate anch’esse in un sonno colpevole
mio padre ormai è un eremo deserto

L´espace du Dedans
e calea pe care n-am mers
deşi eram acolo:
cu tata pe care îndoiala îl muta
pe câmp în seri anonime
şi-abia acum când
cu dimineaţa de mână
mă caut printre măslinii înfometaţi
Peintre pour me parcourir
cu Henri Michaux topit în chipul
pe care amintirea mea nu-l recunoaşte
abia acum lângă tufa murdară de roze
prăbuşite şi ele într-un somn vinovat
tata e de-acum o mânăstire pustie


Da un capo all’altro del sogno

come se una maledizione non bastasse
– un albicocco fiorito nell’unica notte
in cui dormii da un capo all’altro
del sogno con te triste

perché sorridessi
– per farti sorridere
dovetti strappare le mappe ben note
del cielo spostando città e isole
e monti e mari italiche
nella tua provincia sonnacchiosa

non ottenni nient’altro che un sorriso
quanto una lama tagliente nella mia attesa
sconquassata da grandi freddi



De la un capăt la altul al visului

de parcă un blestem nu ajunge
– un cais înflorit în unica noapte
în care am dormit de la un capăt la altul
al visului acela cu tine tristă

ca să zâmbeşti
– ca să te fac să zâmbeşti
a trebuit să sfâşii ştiutele hărţi
ale cerului mutând oraşe şi insule
şi munţi şi mări italice
în provincia ta somnolentă

n-am obţinut mai mult decât un surâs
cât o lamă tăind în aşteptarea mea
zgâlţâită de mari friguri




con Dio scalzo

sogno la morta che sarai. il morto che sarò.
l’intonaco di questa veduta chiusa: la minuzia
di una vita che finisce in una terzina dantesca.
e tu lì che sorridi con lo sguardo di colei che è per sempre dimenticata:
identità incerta: tra quella di una bimba di mezzo secolo fa
senza denti con piccoli seni dall’intarsio di piombo e la donna
incontrata su un treno di provincia nella notte
in cui sono ridiventato uomo. cespuglio di parole acerbe –
su un colle stanco. con Dio scalzo che mormora
una preghiera inesistente.




cu dumnezeu desculţ

visez moarta care vei fi. mortul care voi fi.
grundul acestei privelişti închise: mărunţişul
unei vieţi care sfârşeşte într-o terţină dantescă.
şi tu acolo zâmbind cu privirea celei definitiv uitate:
identitate neclară; între o fetiţă de-acum o jumătate de veac
fără dinţi cu sâni mărunţi de sidef plumbuit şi femeia
întâlnită într-un tren de provincie în noaptea
în care am redevenit bărbat. tufiş de vorbe acre –
pe un deal obosit. cu dumnezeu desculţ îngânând
o rugăciune inexistentă.





Solo il grido                    
sui colli innevati
tombe di poemi sparse
tempo fa dagli errabondi del cielo        
tu dormi nel frutto mai nato
del fiore di maggio
sull’ombra del meriggio il caldo
lascia impronte forti come l’accetta del padre
spento nella preghiera della sera immemore
solo il grido un grido solo

Doar ţipătul
peste colinele înzăpezite
mormintele unor poeme risipite
de hoinari ai cerului demult
tu dormi în fructul nenăscut al
florii de mai
pe umbra amiezii caldul
lasă amprente tari ca securea
tatălui stins în rugăciunea serii uitate
doar ţipătul un ţipăt doar



Sonno contorto
Disse che la guardò “non vide nulla!”
sulla porta della vecchia casa
l’angelo non lasciò un segno
nessun segno trovai da alcun angelo
sulla porta della nostra vecchia casa.

Somn răsucit
Zice că a privit-o „nimic n-a văzut!”
pe poarta casei bătrâne
îngerul n-a lăsat nici un semn
nici un semn n-am găsit de la vreun înger
pe poarta bătrânei noastre case.



7 commenti:

  1. Tra queste poesie ce n'è una che preferisco: "Da un capo all’altro del sogno"

    C'è un dolore profondo; il dolore che viene quando ci carichiamo di aspettative, e facciamo di tutto per manipolare la realtà al fine di ottenere un risultato impossibile. Ci inoltriamo a volte in imprese che preludono alla sconfitta già al loro inizio. Ma noi fingiamo di non saperlo. E trasformare il tutto in una poesia, una bella poesia, o bellissima come in questo caso, è il massimo risultato che possiamo ottenere.

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  2. ho riscontrato nella lingua romena una sorprendente vicinanza con l'italiano, e ne ho fatto cenno ad Afrodita, e spero di approfondire, per esempio Dio, Dumnezeu, non è altro che il nostro dominus deus, domineddio per intenderci

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  3. Dovrò rileggerle più volte. A una prima lettura mi sono sembrate, per usare una definizione superficiale, molto belle. Credo che nascondano e contengano decisamente di più di quanto per ora ho colto. Per ora ho apprezzato in particolare "con Dio scalzo", colma dei dubbi, dei quesiti, delle inquietudini dell'uomo. E della sua impotenza.

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  4. molto bella "con dio scalzo", ma anche "da un capo all'altro del sogno". l'autore trasmette vividamente il suo dolore. colgo in questi versi grande dignità e compostezza, il che rende ancora più incisivo il dire del poeta.

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  5. Colpisce l'intenzione poetica di gestire le immagini,senza dissacrarle,perchè già arrese,sconfitte.Dio stesso,appare come una figura di primo piano che però declina la sua onnipotenza,in nome di una più divina consapevolezza terrena:delusione o desolazione che sia.La bellezza delle parole è nella nudità dei piedi di Dio e non solo,a stabilire un pensiero povero ma superbo.

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  6. ‎"A tavola con Dio",sembra redigere un nuovo corso Cristiano.Non più la tavola di Dio,ma la volontà di quest'ultimo,a rendere inconfutabile il ruolo della tavola dell'uomo.La tavola dell'uomo è l'uomo,è l'essenza di un nutrimento assiomatico,imprescindibile.Molto bello...

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  7. Leggo con piacere e vi ringrazio per i commenti ai versi di George Popescu che ho proposto in traduzione italiana. La versione bilingue permette senz’altro di cogliere parecchie somiglianze tra le nostre lingue sorelle. Come ha già notato Paolo, Dumnezeu “Dio” proviene dal latino "dominus deus”, domineddio. È bello vedere come la poesia accomuna le lingue e il nostro sentire.

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